Guida ai Luoghi di Più Turismo: I biocarburanti
21 Luglio 2023 by
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Il biodiesel è un biocarburante, cioè un carburante ottenuto da fonti rinnovabili quali olii vegetali e grassi animali, analogo al gasolio derivato dal petrolio. Il biocarburante rappresenta l’unica vera alternativa, sia in termini di riduzione della dipendenza dal petrolio sia in termini di benefici ambientali. Il biodiesel, per esempio, è un prodotto di origine vegetale, quindi totalmente biodegradabile; in caso di dispersione accidentale, non inquina né il suolo né le acque; è l’unico carburante che non contribuisce all’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera, perché la sua combustione produce un’emissione di CO2in quantità uguale a quella che assorbono le piante impiegate per la sua produzione. Contrariamente a quanto si creda, il biodiesel non è un olio vegetale puro e semplice come l’olio di colza, ma il risultato di un processo chimico (transesterificazione con alcol metilico) a partire da questo o altro componente biologico. Inoltre, attraverso un opportuno procedimento, è possibile trasformare biomasse di qualsiasi natura in BTL (Biomass To liquid), un biodiesel ottenuto da materiale organico di scarto o prodotto appositamente con colture dedicate.
Di cosa si tratta? Il biodiesel è un prodotto naturale utilizzabile come carburante in autotrazione e come combustibile per il riscaldamento, con le caratteristiche indicate rispettivamente nelle norme UNI10946 ed UNI10947. È rinnovabile perché si ottiene dalla coltivazione di piante oleaginose di ampia diffusione; ed è biodegradabile, cioè se disperso si dissolve nell’arco di pochi giorni, mentre gli scarti dei consueti carburanti permangono molto a lungo; garantisce un rendimento energetico pari a quello dei carburanti e dei combustibili minerali ed è affidabile nelle prestazioni dei veicoli e degli impianti di riscaldamento.
Come si produce? Il biodiesel si ottiene dalla spremitura di semi di piante oleoginose, quali colza, soia e girasole, e da una successiva lavorazione dell’olio, detta transesterificazione, che determina la sostituzione di alcuni componenti alcolici (glicerolo) con alcool metilico (metanolo). Questa lavorazione rende il prodotto di origine vegetale più simile al gasolio (di origine minerale), permettendone la completa sostituzione o la miscelazione. Oltre ad essere pulito ed economicamente conveniente, il biodiesel rappresenta una valida via per la differenziazione delle fonti energetiche, ricordando in proposito che l’Italia è il fanalino di coda della UE. Infine, non per importanza, presenta un vantaggio rispetto ai sottoprodotti dell’intero processo di produzione che, anziché essere degli imbarazzanti e scomodi scarti di lavorazione, costituiscono coprodotti nobili dall’alto valore aggiunto, in termini energetici ed economici.
Il bioetanolo è un etanolo prodotto mediante un processo di fermentazione delle biomasse, ovvero di prodotti agricoli ricchi di zucchero (glucidi) quali cereali, colture zuccherine, amidacei e vinacce. In campo energetico, il bioetanolo può essere usato come componente per benzine o per la preparazione dell’ETBE (etere etilbutilico), un derivato ad alto numero di ottano. Può essere usato nelle benzine in percentuali fino al 20% senza modificare il motore o puro nel Motore Flex. Inoltre è possibile usare bioetanolo come combustibile all’interno di biocamini, sfruttandone il potere calorico per scaldare gli ambienti. Il processo di produzione del bioetanolo genera, a seconda della materia prima agricola utilizzata, diversi sottoprodotti con valenza economica destinabili, a seconda dei casi, alla mangimistica, alla cogenerazione etc
Un po’ di storia L’uso di carburanti di origine vegetale per autotrazione in particolare l’etanolo risale ai primi del ‘900, quando Henry Ford ne promosse l’utilizzo, tanto che nel 1938 gli impianti del Kansas ne producevano già 18 milioni di galloni/anno (circa 54.000 t/anno).
L’interesse statunitense per l’etanolo scemò dopo la Seconda Guerra Mondiale in conseguenza dell’enorme disponibilità di olio e gas. Ma negli anni ‘70, a seguito della prima crisi di petrolio, si ricominciò a parlare di etanolo e, alla fine del decennio, diverse compagnie petrolifere misero in commercio benzina contenente un 10% di etanolo, il cosiddetto gasohol, avvantaggiandosi del cospicuo sussidio fiscale concesso all’etanolo. Più recentemente, con l’approvazione degli emendamenti al Clean Air Act (1990) da parte del Congresso Americano, che imponevano un contenuto minimo di ossigeno nelle benzine destinate alle aree metropolitane più inquinate, si è ritenuto che i programmi di sviluppo per l’etanolo potessero ricevere una buona spinta.
Le cose non sono andate nella direzione sperata dagli “etanolisti” per la contemporanea presenza sul mercato di una sostanza analoga più forte dal punto di vista economico e prestazionale: l’MTBE. Comunque, oggi l’etanolo ripropone la sua candidatura, favorito anche dall’attenzione politica mondiale a ridurre le emissioni di CO2.
Come si produce? ll bioetanolo può essere prodotto mediante un processo di fermentazione da biomasse, ovvero da diversi prodotti agricoli ricchi di carboidrati e zuccheri quali cereali, colture zuccherine, amidacei e vinacce. Le materie prime per la produzione di bioetanolo possono essere racchiuse nelle seguenti classi:
- coltivazioni ad hoc (mais, sorgo, orzo, bietola, canna da zucchero) e residui di coltivazioni agricole e forestali
- eccedenze agricole temporanee e occasionali
- residui di lavorazioni delle industrie agrarie e agroalimentari, rifiuti urbani.
In campo energetico, il bioetanolo può essere utilizzato come componente per benzine o per la preparazione dell’ETBE (etilterbutiletere), un derivato altoottanico alternativo all’MTBE (metilterbutiletere). Può essere aggiunto nelle benzine fino a una percentuale del 20% senza modificare in alcun modo il motore o, adottando alcuni accorgimenti tecnici, anche il 100%. Il processo di produzione di bioetanolo genera, a seconda della materia prima agricola usata, diversi sottoprodotti con valenza economica (destinabili, a seconda dei casi, alla mangimistica, alla coproduzione di energia elettrica e calore etc.).
La questione ambientale La spinta più forte allo sviluppo dei biocarburanti è sempre stata quella di tipo ambientale. In Italia, il Libro Bianco sulle fonti rinnovabili approvato dal CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) nel 1999 afferma che: “Il particolare interesse verso la filiera dei biocombustibili bioetanolo e biodiesel […] è collegato alla necessità di individuare soluzioni praticabili per il contenimento dell’inquinamento, soprattutto nelle grandi città, causato dai combustibili fossili usati per i trasporti. Il traffico stradale è, infatti, responsabile per il 93% delle emissioni di ossido di carbonio, il 60% di quelle di idrocarburi e ossidi di azoto, il 12% di anidride carbonica; i biocombustibili, di contro sono di origine vegetale e quindi non contribuiscono all’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera, non contengono zolfo, contengono nella loro molecola ossigeno consentendo una significativa riduzione delle emissioni di ossido di carbonio e di composti incombusti ed evitano l’emissione di altre sostanze nocive associate alla combustione di combustibili fossili.”
La nostra sperimentazione sull’uso del bioetanolo nel settore alberghiero: L’impianto solare per l’acqua calda e la produzione di energia
L’energia solare è la fonte più diffusa sulla terra: rinnovabile, disponibile, gratuita ed in quantità largamente superiore ai fabbisogni energetici della popolazione mondiale. Oggi utilizziamo solo una piccola quantità dell’enorme quantità di energia che ci giunge dal sole e la strada da percorrere è ancora lunga per uno sfruttamento su grande scala. Naturalmente l’energia solare non può sostituire completamente quella prodotta dai combustibili fossili, ma, come dimostra l’esperienza europea, può efficacemente integrare il fabbisogno energetico delle famiglie.
Il pannello solare (collettore) serve a catturare l’energia che dal sole giunge sulla terra e a convertirla in calore (conversione fototermica). Tale energia viene poi inviata ad un fluido termovettore che circola all’interno del convettore stesso o del tubo di calore.
La caratteristica principale che identifica la qualità di un collettore solare è l’efficienza, intesa come capacità di conversione dell’energia solare in energia termica. Nei pressi del collettore solare o di un locale caldaie viene collegato il serbatoio di accumulo dell’acqua calda, ove avviene lo scambio di calore fra il fluido termovettore e l’acqua contenuta nel serbatoio. Cedendo il calore ricevuto dal sole allo scambiatore di calore, il fluido riscalda l’acqua contenuta nel serbatoio ad una temperatura che può raggiungere anche 6070°.
Il pannello solare classico (collettore piano vetrato) raccoglie l’energia del sole attraverso:
- un assorbitore all’interno del quale è inserito un fascio di tubi in cui scorre il liquido termovettore del circuito primario;
- una lastra di vetro che protegge l’apparato, assorbe, scaldandosi, i raggi solari e li trasforma in radiazione infrarossa che trattenuta nel vetro provoca una specie di effetto serra;
- un isolante termico (in fibra di vetro o in polieturano espanso) posto nella parte sottostante del pannello;
- una scocca in lamiera che assembla le parti e conferisce robustezza e stabilità al pannello.
I collettori solari a piastra selettiva subiscono un trattamento elettrochimico che consente di ottenere una superficie di colore nero, con alto coefficiente di assorbimento e basso coefficiente di riflessione; quindi, sono pannelli con un buon rendimento anche durante i mesi invernali.
Nei collettori solari sottovuoto il calore raccolto da ciascun elemento (tubo sottovuoto) viene trasferito alla piastra presente nel tubo. In tal modo il fluido termovettore si riscalda e, grazie al vuoto, minimizza la dispersione di calore verso l’esterno. Tali pannelli hanno un ottimo rendimento in tutti i mesi dell’anno e sono
particolarmente adatti ad essere installati nelle zone ad insolazione mediobassa, anche con condizioni climatiche rigide.
Nei pannelli con serbatoio integrato l’assorbitore di calore ed il serbatoio di accumulo sono compresi in un unico oggetto e l’energia solare giunge direttamente a scaldare l’acqua accumulata. Per effetto del principio che l’acqua calda tende a salire e quella fredda a scendere, si viene a creare all’interno del serbatoio un moto convettivo che distribuisce il calore captato a tutta la massa d’acqua. Tali pannelli, tuttavia, non sono idonei all’utilizzo nelle località con inverni rigidi e lunghi poiché il loro rendimento è basso.
I pannelli solari scoperti , infine, sono privi di vetro e l’acqua passa direttamente all’interno dei tubi del pannello, dove viene riscaldata direttamente dai raggi solari ed è pronta per essere usata. Essi sono adatti nella stagione estiva per il riscaldamento delle piscine scoperte, per le docce esterne nei campeggi, al mare , producendo acqua calda a circa 40°.
Tutti gli edifici che dispongono di uno spazio soleggiato (tetto inclinato, tetto terrazzato, giardino, ..) possono essere dotati di un impianto solare per la produzione di acqua calda sanitaria. Il costo dell’installazione è tanto più basso quanto più facile è l’accesso a tali luoghi e quando gli ancoraggi sono più semplici (es. in giardino). I pannelli vanno orientati verso sud, con una tolleranza di deviazione verso est o verso ovest di 30° ed essere inclinati di circa 3540° rispetto al piano orizzontale. Per calcolare le dimensioni dei pannelli solari da installare si deve tener conto del prevedibile consumo di acqua calda della struttura che serve. In media si può considerare una produzione di acqua di 80100 litri/giorno, alla temperatura di 40°, per ogni metro quadrato di pannello istallato.
La cosa migliore è progettare la ristrutturazione o la realizzazione ex novo dell’edificio agrituristico prevedendo tutti i collegamenti e gli accorgimenti necessari per l’istallazione di un sistema solare. Tuttavia, se nell’edificio esiste una caldaia istantanea a gas a controllo elettronico per la produzione dell’acqua calda sanitaria, è possibile collegare il sistema solare all’impianto termico esistente. Se non è possibile collegarsi alla caldaia a gas, occorre inserire nel serbatoio una resistenza elettrica. Altra possibilità è quella di prevedere un sistema integrato di riscaldamento dell’acqua: caldaia a condensazione, caldaia a biomasse e sistema solare.
Un buon sistema di riscaldamento alimentato dall’energia solare integrata a quelle delle biomasse o da una caldaia a condensazione è quello a battiscopa, a pavimento ed a parete. Questi sono costituiti da tubi in rame o tubi in polietilene reticolato ad alta densità, in cui circa acqua calda ad una temperatura massima di 45° che corre dietro al battiscopa, sotto il pavimento o a parete. Questi impianti permettono una regolazione omogenea della temperatura e del grado di umidità, generano un riscaldamento radiante, non alzano polveri, richiedono temperature più basse rispetto ai sistemi tradizionali, consentendo un buon risparmio di energia.
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