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Rincari bollette energia e mangimi: rischio abbattimento bestiame

20 Marzo 2022 by

Veronica Scarico

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Rincari bollette energia e mangimi: le stalle abbattono il bestiame

Potrebbe essere ucciso il 30% dei capi di bestiame in sole 2 settimane. Molti allevamenti, assediati dai rincari, stanno abbattendo gli animali nelle loro stalle. Da un lato non c’è mangime a sufficienza, dall’altro hanno necessità di ridurre gli eccessivi costi per sopravvivere.

Ma perché sta succedendo tutto questo? Cosa spinge gli allevatori a una scelta del genere?

La guerra in Ucraina ed il conseguente blocco delle esportazioni di frumento dall’Ucraina e Ungheria hanno messo a rischio la produzione dei mangimi. I prezzi dei mangimi, che ora stanno anche scarseggiando, hanno quindi subito un rincaro esponenziale: +50%. Il mais è passato da 20€ al quintale a 44€ al quintale, e la soia macinata da 35€ a 65€.

Purtroppo non è l’unica causa, l’aumento dei costi delle materie prime, delle bollette di luce e gas, il rincaro vertiginoso della benzina e del diesel hanno indotto molti allevamenti a prendere decisioni drastiche, pena il collasso.

In questo momento, i costi di alimentazione del bestiame, per mantenere gli allevamenti, sono superiori dei probabili ricavi derivanti ad esempio dalla produzione di latte, formaggio e latticini. Gli allevatori non vengono compensati da un proporzionale aumento del prezzo del latte, ormai fermo a 37 centesimo al litro. Valore di 20 anni fa e incoerente rispetto all’andamento del mercato internazionale. Se i prezzi non vengono rivisti è infatti colpa delle importazioni di latte dall’estero, di bassa qualità e spacciato per Made in Italy, a costi nettamente più bassi.

Ogni milione di quintali di latte importato in più causa una riduzione di 17.000 mucche e un taglio di 1200 occupati nell’agricoltura.

Molte stalle stanno quindi abbattendo i loro capi di bestiame per non fallire ed evitare una chiusura aziendale. Parliamo di 120.000 posti di lavoro a rischio nell’attività di allevamenti da latte, che generano introiti per 28 miliardi (1 allevamento su 4). Questo inoltre provoca un crollo dei prodotti alimentari di origine animale (carni bovine, suine, avicole, latte, burro, formaggi e uova.).

L’approvvigionamento cibo in realtà, non riguarda solo gli allevamenti ma anche i maneggi ed in generale gli agriturismi che hanno bestiame da sfamare.

Eccessiva dipendenza dell’Italia dal mercato estero

L’Italia è costretta ad importare frumento e molte materie prime agricole, nonostante l’agroalimentare sia un settore trainante dell’economia.

Il costante calo negli anni della produzione nazionale ha infatti obbligato l’Italia a ricorrere al mercato internazionale, per le evidenti difficoltà di approvvigionamento.

Per ben il 60% del suo fabbisogno, l’Italia è infatti dipendente dalle importazioni di materie prime vegetali. Nello specifico,  produciamo ad esempio, solo il 36% del grano tenero che serve, il 53% del mais e il 56 % del grano duro per la pasta.

Anche per le produzioni derivanti dall’allevamento di animali, la condizione non è migliore: oltre il 50% di carne bovina viene importato dall’estero, così come il 40% di carne di maiale e salumi ed il 75% di pesce. Solo nel caso di latte e formaggi, l’84% deriva da un approvvigionamento autonomo.

Questa situazione implica inevitabilmente il dover dipendere dal mercato estero, sia per quanto riguarda la fascia di prezzo che la disponibilità delle materie prime.

Ma cosa ha causato la riduzione della produzione nazionale negli ultimi anni? Gli scarsi compensi riconosciuti agli agricoltori ed allevatori e il ricorso ai mercati esteri, che offrono materie prime a bassi costi garantendo un’alta marginalità.

In 10 anni è scomparso 1 campo di frumento su 5, con una perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati. Tutto ciò è stato compensato semplicemente con l’acquisto di mais, orzo e grano nei mercati dove si pagavano meno.

Ecco perché in l’Italia l’approvvigionamento di materie prime è quasi esclusivamente derivante da importazioni di prodotti esteri. Purtroppo ora stiamo pagando le conseguenze di queste politiche adottate negli anni, frutto del processo di globalizzazione. Anche nell’allevamento, infatti si è superato il consumo di prossimità alla ricerca e l’acquisto di prodotti in mercati che offrono prezzi più bassi.

Non possiamo più aspettare, possiamo pensare ad oggi per migliorare il domani. Sono necessarie scelte urgenti che rendano l’Italia autosufficiente dal punto di vista degli approvvigionamenti di materie prime e cibo. Infine, dobbiamo difendere i nostri prodotti, primati esclusivi italiani.

Autosufficienza di materie prime ed equilibrio di filiera

Per evitare che il sistema collassi dobbiamo mirare all’autonomia, ovvero al autosufficienza di materie prime. L’approvvigionamento deve avvenire quindi con prodotti nazionali che tutelino i contratti di filiera e garantiscano pagamenti sostenibili.

Prima di tutto, per salvare gli allevamenti, serve un accordo di filiera, che coinvolga tutti gli attori della filiera agroalimentare: aziende agricole, aziende di produzione, fino alla grande distribuzione. Un compromesso che garantisca un’adeguata remunerazione delle materie prime, senza gravare sui consumatori finali.

Per farlo sono necessarie politiche europee e nazionali di tutela che mirino a:

  • rendere remunerativa sul territorio la filiera agroalimentare con modelli contrattuali di reciproco vantaggio
  • regolazione dall’alto dei prezzi sul mercato agroalimentare
  • attivazione di canali di approvvigionamento alternativo
  • sicurezza alimentare
  • sensibilizzare il consumo di prodotti nazionali e valorizzare i prodotti locali

Un piano per favorire l’aumento della produzione nazionale di materie prime vegetali e animali è quanto mai urgente. È necessario garantire il fabbisogno per l’alimentazione, e per fare questo, bisogna definire anche delle misure che possano incentivare la popolazione al consumo di prodotti locali.

Infine, un altro aspetto da non sottovalutare è la necessità di un ritorno alle origini. La transumanza, ad esempio, la migrazione stagionale del bestiame alla ricerca del pascolo migliore per il nutrimento, non viene più praticata. Questo non solo peggiora pesantemente i territori, per la mancata cura, ma soprattutto lega ancora di più gli allevatori alla necessità di acquistare mangime. Quando in realtà, sappiamo benissimo che il bestiame potrebbe nutrirsi liberamente brucando i campi per mesi, in modo naturale, seguendo il ritmo delle stagioni.

La diminuzione dei pascoli d’alpeggio e l’abbandono delle malghe causa quindi l’espansione del bosco a scapito dei prati, con una conseguente riduzione della biodiversità. Un problema che affligge anche gli allevatori di cavalli e i maneggi, sostenitori di un turismo ecosostenibile. Scompaiono i sentieri nella vegetazione che prende sempre più piede e diventa un problema effettuare escursioni a cavallo, come ci insegnano i nostri maneggi.

Noi di PiùTurismo siamo da sempre in prima linea e sosteniamo i produttori locali aiutandoli a valorizzare i propri prodotti. Se anche tu, comprendi l’importanza di farti conoscere ed apprezzare, unisciti a noi ed affida la tua comunicazione a chi è esperto da ormai più di 10 anni in questo settore. Contattaci subito per una consulenza!

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